Questo era uno spazio libero. Ora è occupato da un indolente che voleva fare lo scrittore. A seguire: un appunto, un consiglio, un saluto.
Un appunto
Non guardo il colore degli occhi, le mani, le cosce, i polpacci. Non m’importa se ha i denti dritti o storti, capelli radi o folti, se già grigi o ancora castani, biondi, rossi, non m’importa dei piedi piatti, dei peli sulla schiena, del culo basso. E ancor meno me ne frega delle rughe, delle lentiggini, delle orecchie a sventola, delle spalle strette, della schiena gobba, degli addominali, dei bicipiti, dei tricipiti.
L’unica cosa che noto nelle persone là fuori è il modo in cui stanno al mondo, e quella che più invidio, tra le altre, è la postura di nonna, a cui una mattina dico: “Hai visto che Roma sta andando a fuoco?” e lei mi risponde sbuffando, annoiata: “Amore, stasera andiamo al karaoke?”.
Da ventisette anni capitolo a ogni sua richiesta. Ci provo, mi esercito, guardo fisso lo specchio immaginando sia lei e secco rispondo di no, ancora no, per sempre no. Ma poi me la ritrovo davanti.
”Amore, hai cinque euro?” Glieli allungo e la guardo bruciarli dentro qualche slot machine.
”Amore, andiamo a prendere il caffè?” E la porto al bar dell’Erri a prendersi un caffè ristretto, così corto che basta avvicinare la tazzina alle labbra che già non c’è più.
”Amore, stasera andiamo al karaoke?“ Ancora sì, volevo sì dire di sì mio fior di montagna e sì dissi sì voglio sì.
Ho passato tutto il giorno a guardare e riguardare video del distributore di benzina esploso a Roma est, ho scritto agli amici, agli ex fidanzati, alle zie che abitano in città. Abbiamo parlato del caldo, del fumo, della paura, dello scoppio che hanno pensato fosse una bomba anche se non avevano mai sentito una bomba scoppiare se non nei film. Un’amica mi ha scritto: è la stagione degli incendi. Volevo dirle che qui in campagna piove da giorni, che le temperature nel giro di una notte sono scese di dieci gradi, che tira vento freddo e temiamo l’arrivo di un temporale perché l’acqua allagherebbe i campi, la grandine frantumerebbe il racconto, perché i torrenti strariperebbero e la terra franerebbe. Volevo scriverle: è la stagione delle piogge. Ma nonna mi ha chiamato, mi ha chiesto se fossi pronto che era ora di andare al karaoke. Allora sono corso a lavarmi e vestirmi, ho subito dimenticato gli incendi romani, la mia amica, l’ecoansia.
Carico nonna in macchina e andiamo al karaoke, un cubo di cemento armato lungo la statale, gestito da una famiglia di cinesi che parlano piemontese meglio di me.
Una volta dentro, mi guardo attorno alla ricerca di conoscenti, noto una platea tutta ottuagenaria e tiro un sospiro di sollievo. Nonna fa un cenno alla proprietaria che subito corre a baciarla e abbracciarla. Poi la donna sposta lo sguardo verso di me, sorride fingendo di riconoscermi, ricambio il sorriso e le chiedo dov’è il bagno. Lo raggiungo, mentre nonna prende posto a tavola.
Va detto che il karaoke, nello sputo di paese nel quale sono nato e cresciuto, funziona così: dalle sette e mezza alle nove e mezza si mangia, come ci si trovasse in un ristorante qualsiasi, dalle nove e mezza alle undici e mezza i clienti possono raggiungere il palchetto in fondo alla sala e cantare. A volte, i proprietari organizzano delle piccole competizioni a cui nonna partecipa sempre. Ha vinto forse due volte in vent’anni. Tiene le coppe di plastica in salotto, tra le foto di me e mia sorella da piccoli e le ceneri di nonno.
Mi siedo a tavola, chiedo a nonna cosa vuole mangiare e lei mi dice che sono già passati a ordinare e ha deciso lei per me, intanto prendo sempre la stessa cosa (cioè: cotoletta con patatine fritte, perché non ho più sviluppato il senso del gusto dopo gli undici anni d’età). Me lo dice distratta, attorcigliandosi i lunghi capelli biondi all’indice. Allora la guardo severo e l’attacco: “Vorrei diventare vegetariano” e per un attimo vedo tutta la sua indifferenza franare, l’occhio storto raddrizzarsi per guardarmi meglio. Farfuglia qualcosa che credo voglia dire: “Perché mi stai facendo questo?”. Provo a dirle che la terra sta andando a fuoco e che gli allevamenti intensivi non fanno altro che contribuire alle emissioni di gas serra, faccio partire uno dei mille video dell’incendio scoppiato a Roma in mattinata, le allungo il cellulare e le racconto della paura degli amici, delle zie. Provo a spiegarle che una dieta a base vegetale porta anche benefici all’organismo. Ma sento le sue unghie rosso fuoco picchiettare sempre più veloci contro il tavolo, vedo la sua mano destra avvicinarsi al mio viso, carezzarmi, poi stringermi le guance come faceva quand’ero bambino.
Severa sentenzia: “Amore, mica lo cambi te il mondo. E poi hai la pressione bassa, la carne ti fa bene”.
Vorrei subito controllare su internet se davvero una cotoletta di maiale alza la pressione ma non faccio in tempo ad aprire Google che ci portano il cibo a tavola.
”Amore, mangia”.
Per un attimo immagino di prendere il piatto e schiantarlo a terra, di masticare un boccone di cotoletta per poi sputarglielo in faccia, immagino di lasciarla lì, sola al karaoke in mezzo alla provinciale, truccata come la regina di un circo, infilata nel suo vestito più bello. Ma nonna ingurgita un pezzo di parmigiana di melanzane e mi ripunta gli occhi addosso. Di nuovo, mi invita a mangiare.
”Amore, dai che si fredda”.
E io ancora sì, volevo sì dire di sì mio fior di montagna e sì dissi sì voglio sì.
Un’ora più tardi, nonna è sul palco. Con la sua voce arrochita dalle venti rosse che fuma al giorno canta Profeta non sarò di Denis Roussos. Non becca una nota nemmeno per sbaglio. Le vecchie bevono caffè e parlano del più e del meno ai mariti. Io mi distraggo controllando sul cellulare notizie sugli incendi. Poi la base scema, nonna tace e allora applaudisco sguaiatamente.
Quando torna al tavolo le dico: “Bravissima”. Lei mi sorride, mi carezza, mi chiede: “Amore, hai d’accendere?”. E io le dico no, che ho smesso di fumare, che dovrebbe smettere anche lei, le ripeto che il mondo sta andando a fuoco. Lei alza le spalle, si guarda un po’ attorno e poi decide: “Vabbè, allora vado a cantarne un’altra”.
Un consiglio
Mentre Los Angeles brucia di Fabri Fibra. Per Tutto andrà bene e Mio padre, ma anche per Milano baby che canta con Joan Thiele e Vivo che riprende quel pezzo di Andrea Laszlo De Simone che a un certo punto fa: “Vi conviene cogliere il tempo che rimane, prima che smetta di bruciare, dentro al tuo cuore, anche il più piccolo ideale che sta tremando di terrore”.
Un saluto
Ecco, insomma è tutto. Al resto poi ci pensiamo.
Se vuoi tornare, t’aspetto qui, faccio spazio.
Niccc
Ecco dove eri finito! 💙